Gli italiani che lasciano l’Italia. Il nostro è un Paese per vecchi

Gli italiani che lasciano l’Italia: i dati ufficiali

«Il numero di emigrati italiani è pari a 82 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, in crescita del 20,7% rispetto al 2012. Tale incremento, insieme alla contrazione degli ingressi (pari a mille unità, 3,5% in meno del 2012) ha prodotto nel 2013 un saldo migratorio negativo per gli italiani pari a -54 mila, quasi il 40% in più di quello del 2012 nel quale il saldo risultò pari a -38 mila».

Il rapporto ufficiale dell’Istat dell’anno 2013 parla di 82 mila italiani che hanno lasciato il Paese nel 2013, un numero che rispetto all’anno prima è aumentato del 20%. Possiamo dunque a tutti gli effetti definire quella italiana ancora come una popolazione di emigranti, che in conseguenza alle trasformazioni economiche, politiche e sociali che hanno capovolto il Paese dal 2009 a oggi, cercano oltre i confini della Penisola l’occasione per una vita diversa da quella italiana, ma anche per scoprire e vivere nuove mentalità, sperimentare sistemi alternativi, e forse più compatibili con le loro esigenze.

Chi sono i nuovi emigranti

Il rapporto parla di una fascia precisa di età nella quale in modo particolare gli italiani scelgono di emigrare: fra i 20 e 45 anni. Le mete prescelte? Al primo posto Regno Unito, poi Germania, Francia e Svizzera. I Paesi Europei in cui gli stipendi sono alti, l‘assistenza sociale è più attenta, le offerte di lavoro più ampie e il sistema burocratico più efficiente. Sono queste le caratteristiche principali a cui gli emigranti sono orientati quando scelgono di emigrare.

Nell’introduzione al libro “Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi”, Claudia Cucchiarata descrive in modo molto chiaro chi sono davvero i nuovi emigranti italiani. Giovani, nella maggior parte dei casi laureati, con la voglia di costruire un futuro solido, fatto di meriti e soddisfazioni. Sono descritti come persone che non stanno scappando dal proprio Paese, ma hanno fatto una scelta consapevole: oltrepassare i confini di una nazione che sempre più spesso si dimostra stretta. I giovani migranti sono coloro che, pur amando l’Italia, non sono riusciti a trovare dentro i suoi bordi le occasioni e le possibilità necessarie per una prospettiva futura stabile.

«Sono i “neo-migranti”, gente che parte “per dimenticare”, per lasciarsi alle spalle un Paese che sta stretto, che non piace. Gente che vorrebbe cambiare l’Italia, ma non sa se ne avrà mai la possibilità. Zaini sulle spalle, valigie con dentro solo il necessario, rotte low cost, itinerari brevi, capitali europee, persone che hanno smesso di aspettare il cambiamento e che forse non hanno i mezzi per poterlo compiere, e non subiscono quella rassegnazione che li porterebbe a restare a casa ad evocare il miracolo delle assunzioni, dei posti di lavoro e dei cambiamenti. «L’Italia non è un paese per giovani», così lo definisce l’autrice.

L’Italia assume, in questo contesto, i connotati di un Paese senza futuro. L’estero viene visto come più “affidabile” della propria patria. I nuovi emigranti italiani sono caratterizzati da una frenesia di fondo, una motivazione fortissima e una mentalità senza frontiere, che li rende lo specchio di quello spirito europeo tanto auspicato, senza ostacoli, dove coloro che vivono in prima persona il principio della mobilità, riescono in maniera concreta a conferire a un’Europa sempre troppo idealizzata, un valore autentico e concreto. Si “auto-eleggono” rappresentanti dell’Europa unita, assieme al flusso del resto dei giovani in mobilità che solcano il continente con gli orizzonti aperti e una creatività nuova nella testa.

Perché si lascia l’Italia

Il 18 ottobre 2010  Time pubblica un articolo dal titolo “Arrivederci Italia, why young italians are leaving”, di Stephan Faris. Riprendendo parte di ciò che Pier Luigi Celli, direttore generale dell’Università LUISS di Roma, aveva scritto in una lettera aperta a La Repubblica, il quotidiano statunitense analizza le motivazioni dell’emigrazione.

«Questo Paese, il vostro Paese, non è più un Paese dove si può vivere a lungo con orgoglio. Ecco perché, pur a malincuore, il mio consiglio è che voi, una volta completati i vostri studi, prendiate la strada per l’estero. Scegliete di andare dove ancora la legalità ha un valore, così come il rispetto e la riconoscenza del merito e dei risultati».

Legalità, meritocrazia e giustizia e disoccupazione. Da una parte i giovani non laureati, in assenza di un posto di lavoro, scelgono di lavorare in nero, dall’altra i laureati non trovano una collocazione professionale in linea con le loro qualifiche finendo comunque con il sentirsi frustrati.

In un quadro simile, l’aspetto economico non può che giocare un ruolo centrale: nello stesso articolo, Faris la definisce “gerontocracy”, ovvero un sistema di governo che da troppo tempo è nelle mani di uomini in età avanzata, comportando un sistema per troppi aspetti conservativo e ostile al rinnovamento. L’economia ha più attenzioni per gli anziani che per i giovani: l’Italia è un paese che investe poco per risolvere la disoccupazione, nell’aiuto ai neo genitori e nell’edilizia abitativa, ma ha mantenuto le pensioni più alte in tutta Europa.

Il sistema di potere che caratterizza moltissime realtà italiane, sia nel pubblico che nel privato, crea una mentalità secondo cui le reali competenze di un lavoratore, le sue esperienze lavorative e i suoi margini di progresso all’interno di un ambiente professionale contano meno della sua anzianità3. Questo sistema esclude automaticamente tutta la categoria giovanile da molti posti di lavoro a disposizione o rende l’iter più complicato e spesso basato su criteri non riconosciuti, quali nepotismo e raccomandazione.

Alcune testimonianze

In un articolo dell’11 dicembre 2012, il quotidiano italiano “La Stampa” ha riportato un articolo con diverse testimonianze di italiani emigrati. Ciò che ne risulta è un insieme di motivazioni comuni, che hanno spinto i soggetti a optare, come loro ultima possibilità, di dare alla forma al proprio futuro quella dell’emigrazione.

«In Italia la carriera universitaria è impossibile, tutti sanno che le selezioni per i dottorati non sono trasparenti. E non parliamo dell’avvocatura, per anni non vedi un soldo. In Olanda, invece, ho trovato rispetto e solidarietà sociale. Qui lo Stato non è percepito come un’entità estranea che chiede tasse e non restituisce. Il senso di comunità è molto forte. Se tornerei indietro? Assolutamente no».

«Da quando vivo in Germania, però, la mia situazione contrattuale è migliorata, dubito che in Italia potrei mantenere lo stesso standard di vita».

Così raccontano prima Mariolina Eliantonio, 34 anni, originaria di Pescara che ora si trova a Maastricht, nei Paesi Bassi, a lavorare all’università come ricercatrice e docente alla facoltà di Giurisprudenza, e poi Leonardo de Ferraris, 33 anni, di Ferrara, un medico che oggi è impiegato in un’azienda farmaceutica in Germania.

Anche il blog “Emergency Exit” che raccoglie sulla piattaforma web le testimonianze di chi ha lasciato l’Italia, riporta alcune voci di chi ha scelto l’estero non solo come seconda opportunità, ma anche come soluzione alle carenze che il sistema italiano presenta per chi in Italia è giovane e di prospettiva ne ha sempre di meno.

Le voci sono quelle di Eugenia, emigrata a Monaco di Baviera, che scrive: «Sono una venticinquenne che l´anno scorso, dopo una laurea in Ingegneria, ha scoperto che per avviare la carriera per cui aveva studiato a lungo tra mille sacrifici doveva lasciare un paese che ama tutt’ora e da cui mai avrebbe pensato di doversene allontanare. La mia scelta è scaturita da un accumulo di rabbia. Rabbia per non trovare un lavoro che mi permettesse di essere finalmente indipendente economicamente dai miei genitori, dopo tutti i loro sforzi per permettermi di studiare, senza avere pretese di ricchezza».

Anna invece è emigrata a Brest, in Francia: «Ho 25 anni, sono laureata in Medicina e Chirurgia e abito a Brest, in Francia. Sosterrò tra 3 settimane il concorso francese per l’ammissione in specialità. Avevo un biglietto sola andata in tasca prima di sapere la data della laurea. Oggi tra tutti i miei compagni di corso sono la sola ad avere la certezza di poter continuare la propria formazione. Sono stata coraggiosa, ma, a volte, piango ancora di nostalgia».

E Berlino? Qui sono più di ventimila gli emigrati solo negli ultimi dieci anni. Di loro  parleremo prossimamente…

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*Tratto da «Lascio tutto e vado a Berlino». Verità e mistificazioni sulla nuova meta degli emigranti italiani pubblicato a capitoli per Berlino Cacio e Pepe Magazine

Photo: © fdecomite CC By SA 2.0