Berlinale, perché abbiamo amato Isle of Dogs di Wes Anderson

In occasione della 68esima Berlinale, il regista statunitense Wes Anderson presenta Isle of Dogs, un film d’animazione in stop motion ambientato nel Giappone del futuro.

È piuttosto insolito che l’inaugurazione di un festival cinematografico internazionale venga assegnata a un film d’animazione, tanto più se i protagonisti della pellicola non sono esseri umani, bensì i loro migliori amici a quattro zampe, i cani. Ma quando si parla di Wes Anderson, che già nel 2014 inaugurò la kermesse berlinese con The Grand Budapest Hotel, allora tutto può accadere. E così Isle of Dogs (Isola dei cani), il cartone animato in stop motion scritto e diretto dal talentuoso cineasta statunitense, ha aperto la 68esima edizione della Berlinale. Forte di un cast vocale d’eccezione tra cui ricordiamo Bill Murray, Greta Gerwig, Tilda Swinton e Yoko Ono, Anderson compie un grande ritorno al cinema d’animazione dopo Fantastic Mr. Fox.

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La trama

Giappone, anno 2037. A seguito della misteriosa diffusione di un’epidemia di influenza canina che minaccia di contagiare anche l’uomo, Kobayashi, sindaco-dittatore di Megasaki City, firma un ordine esecutivo per confinare tutti i cani del Paese su Trash Island, un’isola piena di rifiuti nell’arcipelago giapponese. Tra i cani messi in quarantena c’è anche Spots, il migliore amico a quattro zampe di Atari, il figlio adottivo 12enne del sindaco. Il ragazzino decide così di mettersi sulle tracce del cane perduto. Sei mesi dopo l’entrata in vigore dell’ordine esecutivo Atari riesce a raggiungere l’isola pilotando un piccolo aeroplano e qui troverà l’aiuto inaspettato di un branco di cani randagi: Rex, Boss, King, Duke e Chief. Mentre Atari e i suoi nuovi amici-alleati conducono le ricerche su Trash Island, a Megasaki City l’amministrazione è in subbuglio per la sparizione del ragazzino. Il sindaco Kobayashi non intende però tornare sui propri passi quanto alla legge “anti cani”. Al contrario conferma prima e inasprisce poi le misure per annientare gli animali. A fronteggiare Kobayashi c’è un gruppo di studenti e attivisti capitanato da Tracy Walker, una ragazza americana in Giappone per uno scambio studentesco, determinata a smascherare il complotto politico che si nasconde dietro l’epidemia e la conseguente quarantena.

Isle of Dogs, poesia e metafora sociale

Ambientato in un futuro distopico, Isle of Dogs mette in scena una versione fantastica del Giappone, ideata come una sorta di tributo al cinema nipponico, in particolare ai maestri Hayao Miyazaki e Akira Kurosawa, dal regista Wes Anderson insieme agli sceneggiatori Roman Coppola, Jason Schwartzman e Kunichi Nomura. Poetico e divertente al contempo, in coerenza con lo stile unico cui ci ha abituato Anderson negli anni, Isle of Dogs è una tenera storia d’amicizia e un’efficace metafora sociale. Nell’ultima fatica del regista la lingua, o meglio la traduzione, ha un ruolo di significato fondamentale: se gli essere umani si esprimono infatti sempre in lingua originale, perlopiù in giapponese, e vengono di rado sottotitolati o tradotti risultando dunque in gran parte incomprensibili, i cani parlano inglese e finiscono per trasmettere allo spettatore una sensazione di vicinanza ed empatia maggiore rispetto a quella provata nei confronti degli uomini. Non a caso il regista stesso ha dichiarato che anche il doppiaggio del film coinvolgerà soltanto i cani. Gli amici a quattro zampe ne escono così umanizzati, ma di un’umanità migliore rispetto a quella degli uomini stessi, una qualità che li porta ad accogliere e ad aiutare perfino un ragazzino, ovvero un rappresentante di quel genere umano che vorrebbe la loro estinzione. Ma la superiorità canina illustrata da Anderson non si applica soltanto ai sentimenti: contrariamente a Megasaki City, dove la società risponde alle regole di corruzione, complotto e tirannia e dove si procede a colpi di ordini esecutivi mirati ad eliminare gli oppositori e a esiliare i diversi – inevitabile pensare qui a un riferimento alla politica di Trump, ma anche alla situazione di molti migranti confinati in centri d’accoglienza in Europa e America – su Trash Island la gang di cani randagi mette ogni proposta democraticamente ai voti, non c’è nessun leader, ma lo sono tutti nella stessa misura e prima di scatenare una lite si pondera se ne vale effettivamente la pena. Poesia, favola, ma anche riferimenti politici e un pesante messaggio sociale: Isle of Dogs è un mix di elementi apparentemente inconciliabili che solo un maestro come Wes Anderson poteva riuscire a condensare in un film d’animazione. Un grande successo per l’inaugurazione della Berlinale 2018.

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Tutte le foto: Isle of Dogs | Isle of Dogs – Ataris Reise Competition 2018 GBR/DEU 2018 by: Wes Anderson © 2017 Twentieth Century Fox