La variante sudafricana del COVID-19 che preoccupa le istituzioni sanitarie

Dopo la variante britannica B117, individuata un’altra mutazione del virus avente origine in Sudafrica

Nonostante la sospensione dei collegamenti con Gran Bretagna e Sudafrica, sono stati identificati dei pazienti contagiati dalla variante sudafricana del virus. La notizia, annunciata da una portavoce delle cliniche statali Vivantes, riguarda due pazienti tra loro indipendenti. Entrambi i soggetti sono stati sottoposti ad isolamento e ricoverati in cliniche diverse: ad Humboldt (Berlino-Reinickendorf) e a Spandau. Curioso come uno dei due individui non abbia viaggiato nel periodo antecedente la rilevazione, mentre l’altro proveniva proprio dal Sudafrica. Ciò che temono gli infettivologi, è che il periodo di incubazione della variante sudafricana B1351 sia più lungo di quello del COVID-19 originario, potenzialmente anche maggiore di tre settimane. Si ritiene, inoltre, che le mutazioni possano essere più contagiose. Come riporta il Tagesspiegel, Vivantes ha affermato che “Poiché la variante del virus è nota solo da dicembre, non ci sono ancora risultati di ricerca affidabili”. E, ancora, “Le rigide misure igieniche di Vivantes concordate con l’Istituto Robert Koch sono, secondo gli esperti, sufficienti anche per il virus B1351”.

Diverse varianti per lo stesso virus

Quella sudafricana, come è noto ai più, non è la prima mutazione del SARS-CoV-2 ad essere rintracciata. Si aggiunge infatti ai già individuati casi di variante brasiliana B1128, e di variante britannica B117. David Kennedy, biologo che studia l’evoluzione delle malattie infettive, ha spiegato, in un’intervista a The Conversation, per cosa si distinguono le nuove varianti del COVID-19. Secondo quanto riportato da Kennedy, sembrerebbe che in realtà queste mutazioni siano in circolo almeno da ottobre, anche se rintracciate la prima volta solo a dicembre. Le differenze principali potrebbero riguardare le modalità di trasmissione ed il modo in cui il sistema immunitario reagisce ad esse. In particolare, la variante britannica ha una possibilità maggiore di trasmissione che supera l’originale per una percentuale tra il 30% e l’80%.

Possono le mutazioni annullare l’efficacia dei vaccini?

Nelle varianti del virus sembrerebbero esserci delle diversità sulle proteine spike: piccole proiezioni sulla superficie del virus che lo aiutano ad attaccarsi alle cellule umane.  Proprio queste proteine sono l’obiettivo di tutti i vaccini finora rilasciati. Tuttavia, dal momento che il nostro sistema immunitario risponde generando anticorpi differenti, la risposta che ne consegue è definita “policlonale”. Ciò significa che vengono attivate differenti cellule B che producono anticorpi disuguali. Per questo motivo diverse case farmaceutiche, tra cui la statunitense Moderna, sono pronte ad affermare che il loro vaccino funzioni anche contro le nuove varianti del COVID-19.

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Immagine di copertina: virus-4835301_1280 / ©Pixabay