Bowie, presto un album in vinile con le sue inedite cover di John Lennon e Bob Dylan

Il 45 giri verrà messo in vendita l’8 gennaio, giorno in cui Bowie avrebbe compiuto 74 anni

Il vinile conterrà due cover, una della canzone Mother di John Lennon e l’altra del brano Tryin’ To Get To Heaven di Bob Dylan e ne verranno stampate solo 8.147 copie numerate. Di queste, 1.000 saranno distribuite in un vinile color crema – disponibili solo attraverso lo store ufficiale dell’artista e sul sito Dig! – mentre le restanti copie dell’EP verranno realizzate nel classico colore nero. Entrambi i brani vengono spacciati come inediti registrati da Bowie durante sessioni in studio nel 1998 (poco dopo la pubblicazione dell’album Earthling) ma, in realtà, sono facilmente reperibili in rete, anche se mai stati  ufficialmente.

Le cover erano state registrate per essere inserite in due album, ma rimasero nel cassetto

Mother è sicuramente una dei brani più struggenti scritti da Lennon. Composta nel 1970 e inserita nel primo album post-Beatles dell’artista – John Lennon/Plastic Ono Band – la canzone è una straziante preghiera laica rivolta al padre Alfred e, soprattutto, alla madre, Julia, deceduta in un incidente automobilistico nel 1958, quando Lennon aveva solamente 17 anni. Ma, anche quando era in vita, il rapporto tra il musicista e la madre non era tra i più idilliaci. Così come il padre di Lennon, infatti, anche Julia aveva abbandonato il figlio. Le liriche descrivono il tormento che Lennon ancora prova per l’abbandono da parte dei genitori, così come per la perdita della madre:

Mother, you had me
But I never had you
I wanted you
But you didn’t want me
So I just got to tell you
Goodbye

Bowie registrò la cover – con lo storico produttore Tony Visconti – per un album tributo a John Lennon che sarebbe dovuto essere pubblicato nel 2000. Ma il disco non vide mai la luce e anche la versione bowiana rimase nel cassetto e finì per girare come bootleg in rete. Tryin’ To Get To Heaven è stata pubblicata nell’album Time out of Mind inciso dal Menestrello di Duluth nel 1997. Bowie aveva realizzato la cover mentre stava lavorando al missaggio del disco LiveAndWell.com, un live album con gli highlights dell’Earthling Tour appena concluso, che venne distribuito solo agli iscritti del sito ufficiale. Ma la cover dylaniana non venne inserita. Anche quando LiveAndWell.com venne reso disponibile digitalmente nel 2020 – così come nella versione ‘fisica’ che verrà pubblicata nel 2021 – Tryin’ To Get To Heaven non è stata inserita. Come Mother, i fan del Duca hanno potuto, fino a oggi, ascoltare la canzone solo come un bootleg in rete.

Dalla sua morte 5 anni fa, innumerevoli registrazioni inedite di Bowie sono state pubblicate. Ma è veramente giusto celebrare la sua memoria raschiando il fondo del barile?

L’EP con Mother/Tryin’ To Get To Heaven è solo l’ultima pubblicazione postuma, in ordine di tempo, resa disponibile al grande pubblico. Sin dalla sua morte, 5 anni fa, le case di produzione hanno rilasciato sul mercato innumerevoli registrazioni inedite, riedizioni speciali di vecchi album, costosissimi cofanetti e merchandise di vario genere. Basta scorrere lo shop del sito ufficiale per rendersene conto. Di fatto la speculazione commerciale dei magnati delle case discografiche (che detengono i diritti della discografia bowiana) ha rovinato quello che all’epoca, nelle intenzioni dell’artista, doveva essere l’ultimo estremo saluto a milioni di fan. Con la pubblicazione di Blackstar, ultimo album pubblicato pochi giorni prima della morte, Bowie ci aveva regalato il suo canto del cigno. Un disco che condensa dentro le liriche che lo compongono il testamento spirituale dell’artista, faticosamente registrato mentre stava lentamente morendo di cancro. Quella doveva essere l’ultima pubblicazione di un artista che, negli ultimi anni, si era di fatto ritirato a vita privata prima di ricomparire sulle scene nel 2013 con l’ottimo The Next Day a 10 anni dal deludente Reality. Dalla sua morte i discografici hanno raschiato il fondo del barile della produzione bowiana pubblicando, ad uso e consumo dei collezionisti più feticisti, innumerevoli live, inutili demo, riedizioni in vinili colorati di vecchi album fino ad arrivare a vendere un cofanetto vuoto (!) per contenere dischi che verranno pubblicati in futuro. Per inciso, tutte le pubblicazioni sono registrazioni che i fan più accaniti hanno già sentito da tempo e neanche tra le migliori o più interessanti che si possano trovare come bootleg. Un’operazione commerciale che nulla aggiunge alla carriera del Duca Bianco, già perfetta di per sè, e conclusasi degnamente con quell’oscuro epitaffio che è stato Blackstar. Il suo silenzio di 10 anni, prima degli ultimi due dischi, era dettato dal fatto che Bowie si era reso conto di non avere più niente da dire. Aveva preferito ritirarsi nel rispetto dei fan, per poi tornare solo quando era riuscito a comporre del materiale degno del suo nome, sapendo di dover morire e volendo lasciare i suoi fan e il mondo della musica nel migliore dei modi possibili. Un’operazione che è stata completamente rovinata dalle logiche commerciali di un’industria discografica che ha completamente fagocitato l’opera di uno dei più geniali e innovativi artisti di tutti i tempi.

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Immagine di copertina: Il musical Lazarus – King Cross Theatre, Londra ©Marco Gobbetto