La proiezione di 8 ore del film filippino della Berlinale: un’esperienza mistica

Insomma, venerdì 19 febbraio siamo entrati in sala alle 10 del mattino e siamo usciti alle 19.30. Il film era A Lullaby to the Sorrowful Mystery di Lav Diaz, regista filippino, sottotitoli inglesi e tedeschi. È in concorso, c’è la possibilità che vinca un premio. Si tratta di ben otto ore di pellicola con una pausa di un´ora circa nel mezzo in uno dei cinema con le poltrone più´ scomode di tutta la Berlinale. Bianco e nero perfetto, movimenti di macchina impercettibili, dialoghi intellettuali ed interminabili, canzoni, poesie, rumori della natura a non finire. Vi si racconta il mito di Andrés Bonifacio y de Castro, l’eroe che diede  inizio alla rivoluzione filippina contro la dominazione spagnola di fine Ottocento. Da una parte il governatore cerca di calmare la rivolta, dall’altra si vede la vedova di Bonifacio addentrarsi nella giungla in cerca del corpo del marito. Dopo le prime quattro ore i nomi dei protagonisti risuonano nel cervello come un mantra, anche perche´ non fanno altro che annunciarsi, presentarsi, autocitarsi. Il tizio accanto a me inizia a russare allo scoccare della terza ora. Verso la quarta ora ho un certo languorino e, aiutata da un finto colpo di tosse, apro la confezione di patatine. Nel frattempo sullo schermo ci sta questa Gregoria che ha perso il suo Andres: nel proseguo della pellicola chiamerà il nome dell’amato circa ottantacinque volte. Non ci sarà il rischio di dimenticarselo. Ci sta anche questo tizio che si mette a pensare all’ombra di una pianta tropicale: la telecamera indugia su ogni cosa, sembra quasi tutto in tempo reale. Le donne sembrano tutte uguali ma le distingui perché hanno le gonne diverse. Verso la fine della quarta ora uccideresti per un panino.
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Arriva l’intervallo. Senti sospiri di liberazione intorno a te. Si esce, si va a mangiare, bere. Si va in bagno. È ora di rientrare. Ormai siamo alla quinta ora di film e cominci a pensare che stai cominciando a capire il filippino. Forse un esame di A2 lo passeresti. La sesta ora viene vissuta in totale trance, con il corpo che non ha deciso ancora se ribellarsi alla poltrona o viceversa. Nel frattempo, guardi il film in qualche modo affascinata.  Alla settima ora comincia a palesarsi la disperazione. Se la prima parte era abbastanza variegata, la seconda è tutto UOMO e NATURA. Uomo e natura, ragazzi – e discorsi filosofici a go-go. C’è questo Simoun che ci mette ben quattro ore e mezza a tirare le cuoia, con tutto rispetto. C´e´ la signora di cui sopra che proprio non lo vuole capire che razza di fine ha fatto il suo Andres – quello citato ottantacinque volte. Insomma se all´inizio eri affascinato, alla fine sei solo affranto. Cominci ad essere quasi contenta che abbiano perso la guerra, insomma provi un sincero rancore verso queste persone che da otto ore stai seguendo senza tregua. Finisce. Quando accedono le luci in sala sembra di essere in un accampamento: gente con coperte fino alle orecchie, signore eleganti completamente scomposte (qualcuna era senza scarpe), ragazzi dallo sguardo annebbiato e assente, ragazzi che sghignazzano istericamente. Non te n’eri accorta, ma in quelle otto ore sei entrata in uno specie di mondo parallelo, un’esperienza surreale che almeno hai la consolazione di aver vissuto con un altro discreto numeri di masoch… ehm cinefili, tutti schiavi di un film che sembra non finire mai ma che in qualche modo ti strega, ti tiene lì. Ad ogni modo…. affascinante. Una piacevole tortura. Ad un certo punto ho pensato a Meryl Streep, presidente di giuria di questa 66esima edizione del festival, obbligata anche lei a vedersi il film per intero. L´ho immaginata che ronfava di gusto come quel mio vicino. Il giorno della premiazione di Fuocoammare, Orso d’oro,  A Lullaby to the Sorrowful Mystery ha vinto il premio Bauer per l’innovazione. A parte l’ironia, è un film a suo modo bello, ma la domanda viene naturale: si premia il film o gli spettatori che lo hanno visto?

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