Trieste

I misteri della Guerra Fredda sul “ponte” Berlino-Trieste

Le due città sono più vicine di quanto si pensi, tanto che si può parlare di asse Berlino Ovest-Trieste.

Alcuni mesi fa un intraprendente e volenteroso ciclista prossimo alle sessanta primavere, Mauro Buoro, è giunto da Trieste a Berlino pedalando per la bellezza di 1.240 km. Generalmente non amo fare pubblicità né a me stesso né agli altri, ma credo che il fine di uno storico, così come quello di un divulgatore, consista nel diffondere e condividere ciò che si conosce. Ecco perché l’impresa di Mauro mi ha indotto a “rispolverare” alcuni dei miei recenti studi.

L’asse Berlino-Trieste

Lo scorso anno, nel mio libro sulla storia della Società Dante Alighieri di Berlino (“La Dante a Berlino. Storia del Comitato dal 1956 al 1989”, AlboVersorio, 2016), raccontai anche la storia di un gemellaggio culturale tra Berlino Ovest e Trieste. Avvenuto a cavallo fra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta. Il progetto prese forma nel dicembre del 1958 tramite un primo scambio di lettere tra il sindaco di Trieste Mario Franzil e il celebre borgomastro di Berlino Ovest, Willy Brandt. L’anno successivo, Franz Wallner-Basté, politico berlinese nonché presidente del comitato locale della Società Dante Alighieri, si recò a Trieste per inaugurare la collaborazione. Si trattava di un ampio scambio culturale e sociale che coinvolgeva studenti  triestini e berlinesi attraverso la predisposizione di borse di studio, l’organizzazione di tornei calcistici e gare di nuoto tra le due squadre cittadine. La realizzazione di trasmissioni radiofoniche in lingua italiana per la città di Berlino Ovest.

© Società Dante Alighieri – Lettera di Mario Franzil a Willy Brandt

Analogie politiche

In quel preciso momento storico, tuttavia, non era affatto difficile cogliere particolari analogie tra le due città. Si trattava di luoghi sospesi, schiacciati tra due mondi diametralmente opposti. Regolati dalla logica della divisione in blocchi e della lotta apparentemente eterna tra capitalismo e anticapitalismo. Trieste usciva da un lungo periodo di “quarantena” politica. Dopo essere stata divisa in due zone di occupazione militare per nove anni (la Zona A controllata dagli anglo-americani e la Zona B sotto l’amministrazione jugoslava), era tornata sotto la giurisdizione italiana soltanto nel 1954. Si era conclusa così la breve storia del Territorio Libero di Trieste che, tra le sue infinite sfaccettature e contraddizioni, era servito al presidente americano Harry Truman (colui che si assunse la responsabilità di lanciare le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki) come palestra per la risoluzione della successiva crisi di Berlino. Il celebre “blocco” del 1948.

La città giuliana, un tempo crocevia di razze, culture, lingue e religioni, era diventata teatro di una piccola guerra fredda adriatica e si era involontariamente ritrovata a ridosso della cosiddetta cortina di ferro. Berlino Ovest, invece, era una sorta di enclave occidentale calata all’interno della Repubblica Democratica Tedesca e il suo destino, così come la sua stessa ragione di esistenza, dipendevano esclusivamente dai risvolti della geopolitica internazionale. Il gemellaggio fra Trieste e Berlino Ovest avvenne, però, in un periodo di relativa distensione politica e culturale. La morte di Stalin (1953), il superamento (almeno parziale) della rivolta di Budapest (1956) e la cristallizzazione degli equilibri geopolitici provocata dalla costruzione del Muro (1961), consentirono maggiore libertà di movimento a livello culturale. Anche parallelamente, ma conformemente, ai ristretti protocolli diplomatici. Sebbene non si trattasse di un periodo sereno per la città di Berlino Ovest, gli sforzi di Willy Brandt (sindaco della città dal 1957 al 1966), erano rivolti a evitare l’isolamento di Berlino Ovest dal resto del mondo.

Dopo la Guerra Fredda

Oggi, a distanza di ormai ventotto anni dalla caduta del Muro, la guerra fredda è finita lasciando spazio alla controversa nascita del mondo globale. Sembra persino divertente immaginare cosa sarebbero stati in grado di realizzare personaggi come Franz Wallner-Basté nell’era digitale. Scambi di hashtag fra Trieste e Berlino, un selfie tra Miramare e il KaDeWe, un collegamento in streaming da Tempelhof. Pur considerando gli innegabili e ragionevoli scopi di diplomazia culturale e politica che mossero questo tipo di iniziative, da quell’epoca abbiamo ereditato un significativo patrimonio civile, intellettuale e culturale. Benché rimangano alcune tracce fisiche di quel gemellaggio, come il Triestpark di Zehlendorf, l’eredità storica del progetto dovrebbe servire da ispirazione per nuove iniziative di scambio culturale. Sia nel contesto ormai classico dei rapporti italo-tedeschi, sia in quello di un’improrogabile maturazione della cultura europea. La vecchia Europa ha assolutamente bisogno di politiche culturali moderne che siano economicamente sostenibili e intellettualmente condivisibili.

Fabio Ferrarini è nato a Monfalcone nel 1983. È stato tesoriere e responsabile culturale della Società Dante Alighieri di Berlino con cui collabora tuttora in qualità di consigliere scientifico. Attualmente è dottorando in storia presso l’Università degli Studi di Milano. Si occupa dei rapporti italo-tedeschi nel corso del ventesimo secolo e della diffusione della cultura italiana nell’Europa settentrionale. Nel 2016 ha pubblicato una monografia: “La Dante a Berlino. Storia del Comitato dal 1956 al 1989” edita da AlboVersorio.

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Immagine di copertina: © Piazza dell’Unità di Italia – CC BY-SA 2.5