A Berlino la Germania si interroga sulla Black diaspora. Che futuro per i nuovi migranti?

Giovedì 20 Novembre il Grüner Salon del Volksbühne apre le porte a Black diaspora + Berlin. Decolonial narratives, un ciclo di incontri e performance artistiche dedicate al tema dell’integrazione delle popolazioni africane in Europa.

Partendo dalle problematiche emerse alla fine dell’Ottocento durante la conferenza che i paesi europei organizzarono a Berlino per discutere i temi legati all’espansione colonialista, Black diaspora traccia una linea proprio partendo da quel preciso momento storico, evidenziando come non molto sia cambiato, e interrogandosi su quale debba essere, in Germania ma non solo, il ruolo dei paesi che accolgono le ondate migratorie dal continente africano, sempre più vicino eppure sempre più distante.

Difficile infatti, questa la tesi di fondo della giornata, pensare a una Germania e a una Berlino, che ne è la cosmopolita capitale, black and white: persiste l’idea di una oggettiva diversità tra le culture, anche nei casi di immigrati di seconda, terza generazione e oltre. Difficile perché i termini nero e tedesco vengono ancora percepiti come contraddittori.

La giornata comincerà alle ore 13 con i saluti di rito da parte delle istituzioni (Thomas Krueger, presidente dell’Agenzia federale per l’educazione civica, promotrice del progetto) e delle curatrici, Alanna Rockward e Julia Lord, per proseguire con la testimonianza dell’attore afro-tedesco Theodor Michael e la proiezione, alle 14.30 del film Audre Lorde. The Berlin Years 1984-1992 di Dagmar Schulz.

Dalle 16.45 il primo dibattito verterà sul tema Arte e Attivismo a Berlino: sono stati chiamati a partecipare, tra gli altri, Christel Gbaguidi, fautore del progetto Die fluechtige Republik con i rifugiati di Oranienplatz, e il direttore del centro di arte contemporanea SAVVY Bonaventure Ndikung.

Dalle 19.15 si discuterà invece della situazione della black art in Europa e del suo ruolo educativo: chiamati a partecipare saranno stavolta gli artisti Jean-Ulrick Désert, Teresa María Díaz Nerio, Yoel Díaz Vázquez, Jeannette Ehlers e il curatore e storico dell’arte londinese Augustus Casely-Hayford.

Alle 21.00 prenderanno il via le performance artistiche: anzitutto Quinsy Gario, che con “A Village Called Gario” tenterà di ricostruire l’origine del suo cognome e con essa la propria identità. Gario, nato a Curacao e olandese di adozione, salì agli onori della cronaca nel 2011 quando durante una sua protesta contro i famigerati Zwarte Piet, gli aiutanti del Santa Klaus olandese che ricalcano il clichè del negro con l’osso tra i capelli e l’anello al naso, finì in prigione per qualche tempo, facendo scoppiare un autentico caso politico in Olanda.

Seguirà poi alle 21:40 Patricia Kaersenhout, con Stitches of Power. Stitches of Sorrow. Il pubblico presente in sala sarà invitato a ricamare due oggetti, legati al periodo coloniale: una pistola e un corpo nero femminile, per ricordare la disparità di condizioni che vissero, allora come oggi, le donne occidentali e quelle africane: le prime, occupate in mansioni più o meno leggere (come un tempo era il ricamo), le seconde costrette a vivere esperienze traumatiche come guerre e violenze razziali.

Una giornata fittissima, quella di giovedì al Volksbuhne: utile per capire come siamo forse ancora lontani, in Europa, dall’avere il nostro Obama.

Black Diaspora + Berlin. Decolonial Narratives

Entrata gratuita

Traduzione simultanea Inglese-Tedesco
20 Novembre 2014, dalle 13.00 alle 22.30

Grünen Salon, Volksbühne

Rosa-Luxemburg-Platz
10178 Berlin

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Foto ©Montecruz Foto CC BY SA 2,0