L’avventura rocambolesca di un italiano (e di un cellulare) sui mezzi di trasporto a Berlino

Secondo me dopo un po’ che viaggi coi mezzi di trasporto pubblici, ci sviluppi una specie di affinità.

Ad esempio, il mio mezzo preferito a Berlino è il tram. Non puzza come la metro, non vieni sopraffatto dalla bora quando sali le scale per uscire dalla stazione ed è meno frequentato dai casi umani tipici delle linee U6, U7 e U8. Inoltre, il tram offre ogni giorno – gratis – spettacoli divertenti. Protagonista è la gente che ancora non ha capito che alla partenza, quando il tram ingrana la marcia, bisogna tenersi stretti a qualcosa. Già, perché il suddetto mezzo RINCULA. Invece no, intrepide anziane signore o giovanotti equilibristi troppo fichi si rifiutano di attaccarsi. E patatrak! ogni volta che il tram riparte gente che cade a mo’ di domino addosso ad altra gente, spintoni, cappuccini a portar via che travasano sulle giacche del povero a fianco (questa è capitata a me), uomini in giacca e cravatta che rovinano sul grigio pavimento mentre la ventiquattrore vola addosso magari alle anziane signore, che ora sì, sorprese si aggrappano alla prima cosa che trovano. Insomma, un giretto in tram la mattina ti può risollevare la giornata.

Si parlava però dell’affinità con i mezzi, nel senso che secondo me dopo un po’ che ci viaggiamo, iniziamo inconsciamente a capire come funzionano, ci entriamo in sintonia: per esempio sviluppiamo preferenze sul dove sederci, a quale altezza del binario aspettare il mezzo oppure sappiamo all’incirca quanto tempo ci vorrà per arrivare dall’altra parte della città senza dover consultare app varie. Soprattutto, sviluppiamo quell’istinto che ci dice quando uscire di casa perché il mezzo sta per arrivare. Non è però purtroppo un istinto preciso, va un po’ a giornata.

Sascha Kohlmann

Ho il presentimento che il 99% degli italiani di Berlino NON guardi mai a che ora partirà il suo mezzo, ma esca semplicemente di casa quando deve e si affidi poi al caso. Personalmente consultare l’orario e dovermi preparare di conseguenza mi mette ansia, quindi propendo sempre per uscire quando sono pronto e una volta che avvisto la fermata attivo al 100% questa “affinità”: è una specie di superpotere che si aziona quando arrivi in prossimità di una fermata. Inizi a camminare più velocemente e ti scatta una specie di adrenalina. Se “senti” che il tram o la metro sta per arrivare, inizi a correre. Non hai la certezza, è  più una sensazione di “imminenza”.

Gli scenari che si aprono a questo punto sono tre:

1 – nel più fortunato dei casi il tram sta arrivando, ma tra te e la stazione c’è SEMPRE un semaforo ROSSO. L’unica soluzione è fregarsene del semaforo – il che comporta l’attivazione a 360° dell’istinto naturale di sopravvivenza per accertarsi in quel breve lasso di tempo che non arrivino macchine o bici assassine e non ci sia la polizia (e una menzione speciale merita il tram, di un livello di periglio ancora maggiore perché devi stare attento a quello che arriva in senso opposto.) Se guardata in questo senso, è ogni volta un attentato deliberato alla propria vita, ma l’importante, è salire su quel dannato mezzo – anche se ne arriva uno dopo 2 minuti.

2 – Nel secondo caso arrivi e vedi il mezzo andarsene. Rimani in genere con una sensazione di presa per il culo. A seconda di quanto uno è già in ritardo seguono diversi livelli di frustrazione, che può essere mitigata dai soli 3 minuti di attesa per il mezzo successivo, ma che può aumentare esponenzialmente fino ad essere insopportabile, se il prossimo Zug arriva tra 10 minuti. A quel punto si impreca tra se e se per l’ odiosissima puntualità dei tedeschi e per varie altre cose che funzionano in Germania e che a noi Sudlaender danno fastidio (nel caso di un bus l’ira è rivolta a figlio di buona donna dell’autista). C’è chi leva un pugno al cielo, chi calcia, chi finge compostezza ma pensa a tutti i malanni possibili da augurare alla BVG. L’importante è non dare la colpa a se stessi per non aver controllato l’orario.

3 – Il terzo e ultimo caso che può verificarsi quando stai correndo a prendere un mezzo, è il caso in cui da poco distante avvisti che il mezzo è GIA arrivato e SAI che tra l’Aussteigen bitte! e il Zurueckbleiben bitte! hai meno di un secondo. A quel punto diventiamo tutti super-sportivi, e in barba a semafori rossi o scalinate (particolarmente ostica quella di Kottbusser Tor che va alla U8, detta anche l’IMBUTO MALEDETTO), sorprendiamo noi stessi con degli scatti da medaglia d’oro. Ma che soddisfazione saltare in carrozza proprio un millesimo di secondo prima che si chiudano le porte! Quest’ultimo caso è il mio preferito. Mi piace l’adrenalina che scatena e mi piace affrontare l’eventuale tedesco rimproveratore con un ghigno beffardo. Anzi, ancora più divertente è quando il conducente di turno ti ha visto e ti insulta all’altoparlante. Oppure quando si scatenano quei momenti di solidarietà umana, tiri alla fune unilaterali, in cui i passeggeri tentano di salvare persone rimaste incastrate nelle porte.

Peccato che una mattina, proprio nel mentre di una di queste volate per prendere la metro, all’atto di saltare in carrozza il cellulare mi sia caduto di tasca per andare ad infilarsi dritto nel binario. Saranno 10 centimetri tra il bordo della metro e la banchina. E lì, ha scelto di fare centro. 

Luogo dell’accaduto: la stazione metro di Warschauerstrasse. 

Ora dell’accaduto: le 8:30 del mattino.

Ricordo di essere rimasto interdetto. Sguardo pietrificato accompagnato dal suono che annuncia la chiusura delle porte alle mie spalle. Davanti a me, una folla di passeggeri sul cui volto leggo compassione mista a classica Schadenfreuede (letteralmente gioia per la sfiga altrui). Non avendo altra scelta viaggio fino alla fermata successiva, con ancora nelle orecchie il rumore della plastica del telefono che ciocca sul fondo del binario. Scendo e corro a prendere la metro che torna nell’altra direzione. Arrivato, mi precipito a guardare nel binario galeotto. Il cellulare giace inerte sul fondo del binario. All’inizio penso di calarmi di sotto, sarà profondo un metro e mezzo, ma qualcuno una volta mi ha detto che le rotaie sono elettrizzate e preferisco contattare l’assistenza della BVG dall’apposita colonnina delle informazioni che si trova in tutte le stazioni.

Premo il tasto rosso e mi prende un colpo per quanto è alto il volume della voce automatica che mi avverte che mi stanno mettendo in collegamento con un addetto. Da questo momento in poi tutto ciò che viene detto dalla colonnina dell’aiuto BVG è praticamente URLATO. Risponde una signora, ahimé in berlinese.

Colonnina BVG: “Che c’è?”

Io: “Sì, buongiorno, senta stavo salendo sulla metro e purtroppo il cellulare mi è cadut….”

Colonnina: “MA COME DIAVOLO FA UN CELLULARE A CADERE NEL BINARIO?!

(Frazione di secondo in cui tutti nella stazione si girano verso la colonnina)

Io: “Mi scusi, non l’ho fatto apposta. Le sto sto chiedendo assistenza, c’è un modo per poter recuperar…”

C. BVG: “STAVA CORRENDO EH? STAVA CORRENDO PER PRENDERE IL MEZZO ALL’ULTIMO SECONDO!”

Io: “Senta signora, la prego intanto di non alzare la vo…”

C. BVG: “NON PROVI A SCENDERE DA SOLO NEL BINARIO! STIA Lì CHE LE MANDO UN COLLEGA. MA COME SI FA A FAR CADERE IL CELLULARE??”

Io: “Ma certo che non ci scendo nel binario! Dove lo aspetto il collega?”

C.BVG: “NON SI MUOVA DA LI’! CI VORRÀ DEL TEMPO, CHE ABBIAMO BEN ALTRO DA FARE! “

E riattacca. 

Di lì a cinque minuti arriva un tizio di poche parole che raccoglie il cellulare, mi osserva sospettoso, e mi fa una domanda di prova: “Che sfondo ha lo schermo del Suo cellulare?”. In quel momento ricordo lo sfondo imbarazzante che ho. Con aria di sfida rispondo:

“Un girasole.”

Lui verifica, mi osserva senza dire una parola e mi restituisce infine il cellulare, miracolosamente intatto.

MORALE: Da questa esperienza ho dedotto che sviluppare un’affinità con i mezzi della BVG non equivale a svilupparla con i suoi addetti, soprattutto con le arpie che ci lavorano. (Confronta l’arpia incontrata nella mia “discesa agli inferi della BVG”). Ah, e che bisogna chiudere le tasche della giacca quando si salta in carrozza.

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Le foto dell’articolo sono © Viktor Rosenfeld CC BY-SA 2.0 e © Sascha Kohlmann CC BY-SA 2.0