10 frasi celebri che spiegano la complessità dell’anima tedesca

Descrivere un intero popolo attraverso definizioni statiche è operazione pericolosa, che rischia di cristallizzarlo in una serie di luoghi comuni poco utili a comprenderlo nella sua intima essenza. Quando però si dispone del punto di vista privilegiato dei grandi pensatori – poeti, filosofi, storici -, diventa possibile delineare alcune invarianti di una nazione, senza scadere negli stereotipi e nella banalizzazione. Ferme restando, sia chiaro, l’irriducibilità dei tratti individuali a un minimo comune denominatore e le inesorabili trasformazioni storiche che coinvolgono tanto i singoli quanto i popoli.

Posta questa doverosa promessa, ci avvaliamo di 10 celebri aforismi di autori che hanno riflettuto sulla Germania per provare a tratteggiare alcune caratteristiche dell’anima tedesca. Una galleria di vizi e virtù da cui emerge un quadro complesso, talvolta contraddittorio, composto di vette luminose e cupe ombre. I tedeschi si distinguono praticamente da sempre per la loro fedeltà, già esaltata dallo storiografo romano Tacito. Presentano una spiccata tendenza all’astrazione e alla speculazione, che li ha fatti eccellere nella storia del pensiero filosofico. Sono doveristi (l’imperativo categorico non poteva provenire che da un prussiano come Kant), compositori e poeti ineguagliabili, capaci di sondare gli abissi del cuore umano e le sue passioni come pochi altri (ma assai meno inclini a viverle), intellettuali radicali che si ergono «maestri del sospetto» e distruggono «con il martello» sistemi economici, certezze morali, convenzioni sociali (si pensi a Karl Marx, Friedrich Nietzsche ma anche al berlinese Kurt Tucholsky).

Sono però anche un popolo ruvido, che non ama perdersi in fronzoli, anche a costo di sembrare scortese (si veda l’aforisma di Theodor Fontane) e che non sempre riesce a vivere quella gioia immortalata da Beethoven nella sua Nona Sinfonia: spesso, presi dalla loro incessante speculazione, dimenticano infatti l’attimo presente e si smarriscono nei fumi dell’astrazione, come ricordano Heine e Goethe. I loro migliori pregi, inoltre, si rovesciano facilmente nei loro peggiori difetti: la proverbiale affidabilità, fondamento di una solida amministrazione della cosa pubblica e di un’industria fiorente, li rende anche noiosi, specie se paragonati a un popolo volubile come quello italiano (vedi la riflessione di Arthur Schopenhauer).

Infine quella devozione kantiana al dovere, fonte di ogni bene nelle epoche in cui la capacità di giudizio personale non è appannata e il potere non scinde giusto e lecito, può diventare un terrificante strumento di omologazione e di obbedienza cieca a ogni legge e governo. É questa una tesi storiografica celebre, secondo cui il tedesco, dai tempi di Lutero e della Riforma protestante (che propugnavano una visione fatalistica dell’esistenza e l’acquiescenza all’autorità costituita) fino ad arrivare al nazionalsocialismo, sarebbe un individuo poco incline alla ribellione, tendente anzi a ottemperare alla legge senza interrogarsi più di tanto sulla sua sostanza. Tesi che trova la sua formulazione più inquietante ne La banalità del male di Annah Harendt: la filosofa tedesca, inviata del New Yorker a Gerusalemme durante il processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista considerato tra i massimi responsabili della soluzione finale, annota come l’imputato declini ogni responsabilità per le sue azioni, descrivendosi come un buon funzionario che ha semplicemente eseguito gli ordini ricevuti (nonostante quegli ordini sancissero l’invio di milioni di ebrei nei campi di sterminio) e, incredibilmente, come un seguace dell’imperativo categorico kantiano.

Ma lasciamo ora spazio ai pensatori cui accennavamo, in modo che siano le loro parole a fare luce sulla sfuggente complessità dello spirito tedesco.

1.  «Nessuno, nel mondo intero, supera i tedeschi in fedeltà» (Publio Cornelio Tacito).

2. «Al fondamento di un problema sta sempre un tedesco» (Voltaire).

3. «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me» (Immanuel Kant).

4. «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo» (Karl Marx).

5. «Il tedesco mente, quando è cortese» (Theodor Fontane).

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6. «I tedeschi, tra tutte le nazioni, sono quelli che hanno filosofato di più; da ciò deriva che sono quelli che hanno vissuto di meno» (Ludwig Börne).

7. «I tedeschi sono un popolo speculativo, di ideologi, di precursori e contemplatori, di sognatori, che vivono solo nel passato e nel futuro e non hanno presente» (Heinrich Heine).

8. «I tedeschi possiedono il dono di rendere ogni scienza inaccessibile» (Johann Wolfgang von Goethe).

9. «Con l’Italia si vive come con un’amante: oggi in aspro litigio, domani in adorazione. Con la Germania come con una donna di casa, senza grossi bisticci, ma senza grande amore» (Arthur Schopenhauer).

10. «Tedeschi: sono seri, diligenti, lavorano come nessun’altra nazione al mondo, raggiungono l’impossibile, ma non c’è gioia a vivere tra loro» (Hugo von Hofmannsthal).

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Immagine di copertina:Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia – Pubblico dominio